Il ruolo della seta greggia nell’economia europea del XIX secolo
Quando la carta moneta che circolava aveva una convertibilità effettiva in oro.
Breve nota introduttiva in merito alla nascita degli Istituti bacologici.
La bachicoltura e le varie fasi della filiera serica per secoli e secoli si sono sviluppate senza la presenza degli stabilimenti bacologici. Le sete che si producevano in Europa nel settecento e nella prima metà dell’ottocento, erano bellissime, pregiate e mai si sentì il bisogno particolare di far nascere degli stabilimenti bacologici. Nelle famiglie di agricoltori, nelle piccole aziende rurali, il prodotto dei bozzoli presentava il pregio inestimabile di essere il primo dell’annata a smercio e pagamento immediato.
A metà però del diciannovesimo secolo si verificò un evento paricolare, un problema molto molto grosso, che si appalesò come un problema di Stato; fu proprio la risoluzione di questo problema che determinò la nascita degli stabilimenti bacologici. Prima però di parlare di che cosa fosse successo è indispensabile dire due parole su quale fosse il ruolo che la seta greggia aveva in Europa nel corso del diciannovesimo secolo. Durante tale secolo la carta moneta che circolava aveva una convertibilità effettiva e le banche centrali delle varie Nazioni ed in particolare la Banca d’Inghilterra fungevano da prestatore di ultima istanza, il che significa, in pratica, che dovevano garantire che si potesse effettivamente contraccambiare in oro una determinata somma costituita da banconote di carta. Le banche centrali, quindi, dovevano avere necessariamente riserve di oro, ma non era solo l’oro che entrava in gioco a costituire la cosiddetta base monetaria ossia a garantire la convertibilità effettiva delle banconote di carta. Entravano in gioco infatti, oltre all’oro, anche l’argento e la seta grezza: per secoli e secoli approssimativamente 15 parti d’argento furono scambiabili con una parte d’oro. La seta greggia era considerata più importante dell’argento negli scambi e in alcuni periodi storici la sua importanza fu maggiore anche di quella attribuita allo stesso oro. Ecco, al riguardo, un breve esempio.
Il tributo annuo che l’isola di Arbe (Rab) corrispondeva al Doge di Venezia e di Dalmazia venne fissato, nel 1018, pari a 10 libre di seta pura (- promittimus…[…] tributum dare omni anno libras de seta serica decem -).
Nel caso che, per motivi imprevedibili di forza maggiore, non fosse stato possibile reperire il quantitativo convenuto di seta, l’isola di Arbe avrebbe dovuto accomodare la mancanza (- componere promittimus -) con cinque libre di oro puro (- auri obrici libras quinque -).
(Anno 1018. Promissionis cartula di Arbe, Codex Trevisaneus, Archivio di Stato di Venezia, carta 141 r.)
Il sistema monetario in cui la carta moneta che circolava aveva una convertibilità effettiva e totale in oro durò fino a subito dopo la prima guerra mondiale; per tutto il diciannovesimo secolo la circolazione cartacea delle banconote fu, di fatto, convertibile totalmente in oro.
Dopo la prima guerra mondiale fu la Banca Centrale degli Stati Uniti a fungere da prestatore di ultima istanza; dopo la seconda guerra mondiale le banconote di carta persero la loro convertibilità totale nel senso che furono ancora controvertibili in oro, ma solo parzialmente.
Il sistema monetario continuò a basarsi su una circolazione cartacea ancora convertibile, anche se solo parzialmente, in oro. Le cose però cambiarono totalmente nel 1971. In tale anno infatti il Presidente degli Stati Uniti d’America Nixon sganciò l’oro dal dollaro e da quel momento non ci fu più nessuna possibilità di convertire in oro la carta moneta. L’economia mondiale da quel momento venne a dipendere unicamente dalle politiche monetarie statunitensi; con la decisione presa nel 1971 si gettarono le basi di un problema che si è andato via via ingigantendo nel tempo e le cui conseguenze oggi sono evidenti.
E la seta? La seta concorse con l’oro, a costituire la cosiddetta base monetaria, fino al 1935.
Nel 1935 infatti le banche centrali delle Nazioni che avevano decretato le sanzioni economiche contro il nostro Paese si rifiutarono di riconoscere la seta greggia nel costituire base monetaria, in pratica nel concorrere, con l’oro, per consentire una convertibilità effettiva delle banconote di carta. Nel 1935 ci fu, di conseguenza, il crollo immediato del prezzo della seta greggia che si ridusse, di colpo, a meno di 1/10 del suo valore tradizionale.
Il Governo fu così costretto ad intervenire adottando una serie di provvedimenti a sostegno della bachicoltura.
A partire dalla campagna bacologia del 1936 i pubblici mercati dei bozzoli vennero soppressi e venne istitutito il regime di ammasso obbligatorio: tutti i bozzoli prodotti nel Regno, con la sola eccezione di quelli da riproduzione che erano destinati agli Stabilimenti Bacologici, non poterono più formare oggetto di libera compravendita fra allevatori e filandieri.
Fu nominata una Commissione Nazionale Ammasso Bozzoli, la quale procedette ad organizzare nelle singole province bachicole i Centri provinciali di ammasso. Tali Centri provinciali operavano alle dipendenze del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste.
Se si eccettuano i bozzoli da riproduzione che erano destinati agli Stabilimenti bacologici (ed in parte anche alle Stazioni Bacologiche Sperimentali di Padova e di Ascoli Piceno), tutto il raccolto bozzoli italiano, a partire dalla campagna bacologica del 1936, affluì agli ammassi collettivi.
Le funzioni di Enti ammassatori furono demandate ai Consorzi Agrari Cooperativi, agli Essiccatoi Cooperativi già esistenti, e ad altre Associazioni od Enti legalmente costituiti.
Il prezzo dei bozzoli ogni anno veniva fissato con apposito Decreto Legge e ad esso era correlato il compenso minimo garantito che gli Enti ammassatori dovevano corrispondere ai bachicoltori alla consegna.
Il prezzo dei bozzoli per ciascun anno veniva determinato con riferimento al valore della seta sul mercato mondiale; il prezzo fissato con Decreto Legge si riferiva a bozzoli mercantili di qualità media, ossia a bozzoli che consentivano una resa di 1 kg di seta per ogni 10 kg di bozzoli freschi.
Le sanzioni economiche contro l’Italia vennero ritirate già l’anno dopo, nel 1936, e gli italiani vennero indotti a credere che tutto fosse ritornato come prima; in realtà il non riconoscimento della seta greggia nel concorrere a costituire base monetaria perdurò costantemente negli anni successivi, ma restò sottaciuto. Nel 1935 quindi, tutto ad un colpo, venne ad inaridirsi una fonte assai importante d’approvvigionamento di valute pregiate ed il governo, per fronteggiare la situazione, vendette i pozzi di petrolio che lo Stato italiano possedeva a Mossùl nell’Iraq e, per incamerare oro, indisse la giornata della fede: il 18 novembre del 1935 gli italiani vennero infatti invitati dal governo del tempo a donare alla Patria il loro anello d’oro, la fede nuziale.
Di fronte all’opinione pubblica venne sbandierato il fatto che il governo, già nel maggio 1936, era riuscito a far ritirare le sanzioni economiche decretate l’anno precedente dalla Società delle Nazioni, ma si coprì il vero colpo basso inferto al nostro Paese: il non riconoscimento della seta greggia nel concorrere a costituire base monetaria.
Per rendersi ragione dell’importanza della seta greggia nell’economia nazionale, andiamo a consultare un Quaderno dell’Ufficio Ricerche Storiche della Banca d’Italia, il Quaderno n. 3 del giugno 2001, a cura di Renata Martano. Si ricava che nel 1918, presso la Banca d’Italia, venne istituito l’Ufficio Centrale per il Mercato Serico, alle dirette dipendenze del Direttore Generale della Banca d’Italia stessa, Bonaldo Stringher. Compito di questa nuova struttura era la compravendita, per conto dello Stato, delle sete italiane prodotte nel 1918 con bozzoli nazionali. L’Ufficio Centrale, avvalendosi di due sedi operative istituite presso le filiali della Banca d’Italia di Milano e di Torino, aveva il compito di acquistare dai filandieri le sete non esportate, con riferimento alle qualità più pregiate, allo scopo di collocarle all’estero in seguito.
Preso atto, così, che la seta greggia interveniva, sia pure indirettamente, a costituire base monetaria, ritorniamo al secolo diciannovesimo e più precisamente a metà circa dell’800, quando, come si è detto, si verificò tutto ad un colpo un problema del tutto imprevisto, gravissimo, che ebbe ripercussioni enormi in quanto mise in ginocchio l’economia di diversi Stati.
Nella penisola italiana, nel Midì francese e nelle regioni meridionali dell’Impero Austriaco, la filiera serica aveva assunto un’importanza economica enorme. La penisola italiana era stimata infatti il secondo produttore mondiale di filo di seta dopo la Cina; il Regno Lombardo Veneto e il Regno di Sardegna avevano la seta quale primo prodotto di esportazione.
Su quale potesse essere stata la vera causa dell’immane disastro verificatosi in Europa a metà del diciannovesimo secolo, per ragioni di opportunità politica, non si parlò mai.
L’industria bacologica, nata a seguito di un ben preciso disegno governativo per risolvere proprio tale delicato problema, fu, di conseguenza, sempre poco conosciuta, anche nel momento della sua massima diffusione, quando oramai operava da oltre sessant’anni. Remo Grandori, uno dei più apprezzati e validi ricercatori in campo bacologico e libero docente nella Regia Università di Padova, nella introduzione alla sua pubblicazione Il seme bachi, edita nel 1931, quindi pochi anni prima che si verificasse il crollo della seta del 1935, attestava come fossero pochissime le persone che erano a conoscenza dell’attività di ricerca svolta dall’industria bacologica; autori, pur autorevoli, avevano comunque scritto in merito, senza però aver mai varcato le soglie di uno stabilimento bacologico.